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Empatia

Empatia

 L’empatia come “sentire dentro”

L’empatia è un fenomeno complesso e non tutti gli psicologi e psicoterapeuti, Gestaltisti e non Gestaltisti, sono d’accordo nell’affermare che sia uno dei punti focali del lavoro terapeutico.
Empatia deriva dal greco εμπάθεια e significa “sentire dentro”.
Quando uno psicologo e psicoterapeuta Gestalt pratica l’ascolto empatico succede che mentre ascolta il paziente ascolta anche se stesso e che effetto gli fa ciò che il paziente gli sta dicendo, che sensazioni, immagini ed emozioni l’ascolto dell’altro gli evoca.

L’ascolto empatico come processo attivo di riconoscimento delle proprie sensazioni ed emozioni

E quando parlo di ascolto empatico non mi riferisco all’ascolto di un altro essere umano nei termini di analisi dei contenuti e dei significati del messaggio, mi riferisco ad un ascolto globale dell’altro, che porta lo psicologo e psicoterapeuta a cogliere le infinite sfumature delle sensazioni ed emozioni di ciò che l’interlocutore gli sta dicendo sia a parole che col corpo.
Per esempio la stessa cosa può venir detta con infiniti toni di voce diversi, accompagnati poi da altrettante sfumature nel modo di esprimere le emozioni che passano sia dai movimenti del corpo e dalla postura, sia dalla mimica facciale.

Saper ascoltare il corpo e leggere i messaggi non verbali della comunicazione

Quindi per me vedere con occhi empatici è vedere il soggetto nella sua complessità e totalità mentre si esprime e mettere insieme ciò che passa a livello cognitivo con ciò che passa a livello sensoriale ed emotivo; in questo processo si attivano e lavorano insieme entrambi gli emisferi cerebrali: sia l’emisfero sinistro, quello analitico, deduttivo, centrato sulle informazioni e sui contenuti, sia l’emisfero destro, quello più intuitivo, sensoriale, creativo, artistico, immaginativo ed emotivo.

L’attenzione fluttuante nel processo dell’empatia

Si tratta quindi come possiamo immaginare di un processo complesso, che si può realizzare se lo psicologo e psicoterapeuta è in grado di praticare un’attenzione fluttuante, che passa cioè continuamente dall’ascolto di sè all’ascolto dell’altro.
Il processo dell’empatia, “sentire dentro”, non va quindi confuso con quello dell’identificazione, anche se può essere per certi versi simile.
Per esempio possiamo identificarci con il personaggio di un film o di un libro, o con un personaggio storico, in questo caso avviene in noi un processo per cui sentiamo e viviamo come se fossimo quel personaggio, perdendo per un attimo di vista il nostro sè, e ci lasciamo trasportare quindi nel mondo del personaggio in cui ci siamo identificati.
Il processo empatico può essere invece considerato più come l’incontro tra due mondi che sussistono entrambi dove uno non viene inglobato nell’altro.
Si tratta dei mondi dei due interlocutori che dialogano.

L’ascolto empatico può preparare il terreno per un dialogo autentico nell’incontro con uno psicologo e psicoterapeuta Gestalt 

In particolare nell’ascolto empatico che può avvenire durante una seduta con uno psicologo e psicoterapeuta è proprio quest’ultimo che ha la responsabilità e anche il dovere di essere empatico nei confronti del suo interlocutore.
Se non lo fa lui per primo non può crearsi un clima accogliente e aperto e bendisposto al dialogo.
Per me è lo psicologo e psicoterapeuta a dover “iniziare” il cliente/paziente all’empatia, se comincia a praticarla lui, allora poi sarà possibile che anche il cliente/paziente possa ascoltare gli altri e se stesso in modo empatico.
Quindi, riprendendo l’articolo di Sergio Mazzei sull’empatia:

“Per quanto sia convinto dell’importanza che possono avere nella personalità del terapeuta fattori quali la creatività, l’umorismo, la fantasia, l’apertura, la generosità, l’intelligenza e molti altri ancora, oltre naturalmente all’esperienza, cultura e competenza professionale, io personalmente pongo l’accento prima di tutto sull’importanza della sensibilità empatica, dell’accoglienza e della capacità di sostenere l’impatto emotivo del paziente mantenendo e trasmettendo un’adeguata capacità di distacco, che non è indifferenza, ma un punto di equilibrio intorno al quale “si può parlare di qualsiasi cosa”, come aspetti fondamentali che concorrono al buon fine di un processo terapeutico.”

“Sto con te e con tutto quello che senti ed emerge da dentro di te.”
“Così anche tu puoi sperimentare come è stare con te e con tutto ciò che emerge nell’incontro con te e con me ”

Il punto fondamentale nella realizzazione dell’empatia é lo stare con il/la cliente/paziente, e tutti i processi in atto del caso, mentre lui/lei sta con me.

Si tratta quindi di un accompagnare e accogliere, rimanendo anche un po’ distaccati, si è centrati allo stesso tempo sia su di sè che su di lui/lei.

È un po’ come quando nell’aikido si guida l’altro e si fa da torì. Per poterlo guidare è importante essere centrati su di sè, e sentire la forza nella pancia e nel bacino.
A partire da questa centratura quando il partner (ukè) attacca, per sfruttare la sua energia e la sua forza il torì può mettere in atto e improvvisare varie figure e forme, che nascono dal contatto sentito e percepito in quel momento.

Allo stesso modo lo psicologo/psicoterapeuta quando “guida” il cliente/paziente attraverso l’ascolto empatico, pur rimanendo centrato su di sè, sente e percepisce ciò che si muove nell’interlocutore, e così facendo può scegliere in base alla sua sensibilità come muoversi in questo terreno comune delicato.
In ogni caso in questo contesto tutte le mosse dello psicologo/psicoterapeuta sono finalizzate ad accompagnare l’interlocutore nella esplorazione di sè e a facilitarla quando diventa dolorosa, faticosa o troppo spaventosa.
La presenza dello psicologo e psicoterapeuta e l’accoglienza dei vissuti che il cliente/paziente gli porta sono come strumenti e canali che possono aiutarlo/la a trovare da sè nuove forme, figure e movimenti più soddisfacenti per lui/lei.

Rendere abitabile la distanza che c’è tra me e l’altro nell’ascolto empatico

Per questo si può dire anche che per praticare l’ascolto empatico occorre abitare la distanza che ci può essere tra psicologo/psicoterapeuta e cliente/paziente.

Il terapeuta nel riconoscere la distanza tra sè e l’altro e nel cominciare ad “renderla abitabile”, può dare avvio a innumerevoli processi.

Per vedere e sentire l’altro con occhi empatici ci vuole una distanza abitabile: se l’altro è troppo vicino e ce lo siamo appiccicati addosso è oggettivamente difficile percepirlo nella sua specifica differenza e diversità, se viceversa è lontano anni luce, diventa quasi impossibile entrare in contatto con lei/lui.

Quindi ogni psicologo e psicoterapeuta che voglia realizzare un’ascolto empatico nel suo lavoro dev’essere secondo me ad una distanza abitabile sia per lui che per il suo interlocutore, nè troppo vicino né troppo lontano, la distanza che ci vuole perché possano manifestarsi sensazioni, emozioni e intuizioni da parte di entrambi.

Ovviamente tale distanza è molto soggettiva e varia in base a chi s’incontra di volta in volta ed è dinamica, anche con la stessa persona cambia col cambiare dei vissuti e del momento che si sta vivendo.

L’ascolto empatico può aiutare chi lo pratica e chi lo riceve ad avere meno paura del giudizio proprio e altrui, in quanto più che “analizzarsi” lo scopo è ascoltare i propri bisogni e desideri per poterli riconoscere e soddisfare

Ultimo punto -solo in senso cronologico e non per importanza-, che voglio trattare è la paura del giudizio.

L’ ascolto empatico richiede l’epochè, ovvero la sospensione del giudizio. Se il cliente/paziente “sente” di avere davanti a sè una persona davvero interessata a ciò che sta esprimendo con tutto se stesso è capace di accogliere anche sensazioni e sentimenti “bui” come la rabbia, il dolore, la paura e la vergogna e l’imbarazzo, senza essere “giudicato” per questo, molto probabilmente può accadere che tutto ciò lo inviterà ad aprirsi allo psicologo e psicoterapeuta senza la paura di essere “giudicato”, “rifiutato”, e “ferito”.
Voglio dire in sintesi, citando Sergio Mazzei, che “quando non si ha una buona relazione empatica con qualcuno si tende a trattenersi e a non svelarsi.”
E questo secondo me è controproducente per il fine ultimo della psicoterapia della Gestalt:
“Lo scopo dell’approccio della Gestalt è di far scoprire, esplorare e sperimentare alla persona la sua propria forma, il suo modello e la sua interezza.”
Concludo questo articolo con le parole di Sergio Mazzei:
” n conclusione vorrei comunque dire che l’atteggiamento empatico non va visto come una sorta di tecnica, un “qualcosa che si fa per …”, un metodo “a orientamento umanistico” che si applica quando si ha a che fare con un “poveraccio” che si trova in difficoltà. è piuttosto un’esperienza che si deve sentire veramente (…..).
“L’atteggiamento empatico del terapeuta” deve “esprimere semplicemente e autenticamente il suo, “essere una persona” profondamente umana, dotata di tenerezza e compassione, capace di emozionarsi, intristirsi o dispiacersi (come peraltro di arrabbiarsi) se e quando un altro essere umano che gli chiede aiuto si trova ad annaspare nelle fangose paludi del suo mondo di dolore, paura e smarrimento.
Naturalmente è comunque sempre necessario vigilare sul rischio dell’essere eccessivamente protettivo e stare attenti a non commettere l’errore di passare da un esagerato e inumano distacco alla troppa compassione che non permetterebbe lo sviluppo delle potenzialità del paziente. Inoltre, benché l’identificazione con il paziente rappresenti una via diretta per la comprensione del suo modo d’essere e della sua visione delle cose, ciò non significa che, al di là della solidarietà e comprensione per le sue difficoltà, non bisogni tener presente la propria soggettività e fare del proprio meglio per modificarne le fissità e rigidità percettive ed interpretative.”

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